Fame di riconoscimenti o fame di cibo?
Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l’aria
ma non togliermi il tuo sorriso…
Paolo Neruda
Nel testo “Le carezze come nutrimento” di Giacomo Magrograssi, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente durante gli studi in Counseling Analitico Transazionale, si sottolinea il parallelismo tra le carezze[1] e i riconoscimenti col nutrimento del cibo per quanto riguarda la crescita, lo sviluppo e il mantenimento di un proprio benessere. Secondo l’autore, dalle carezze che riceviamo dipende la qualità della nostra vita: “il nostro rapporto con questo speciale tipo di nutrimento, la nostra dieta abbondante o scarsa, equilibrata o no, segnerà il nostro futuro di essere soddisfatti e di provare piacere, di recepire da adulti le carezze che ci vengono fatte e di farne a nostra volta”[2].
Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, nei suoi testi descrive anche un altro bisogno dell’essere umano, la fame di stimoli che riguarda la necessità, da parte del bambino, di ricevere un quantitativo di stimoli adeguati, al pari di una alimentazione adeguata, per sviluppare e mantenere un equilibrio psicologico, così da trovare un proprio posto nel mondo.
L’importanza degli stimoli e dei riconoscimenti per una crescita sana sono stati confermati anche dagli studi di René Spitz in alcuni befotrofi. In breve, alcuni bambini, dopo essere stati nutriti al seno dalla madre, al terzo mese sono stati affidati a delle infermiere le quali si dovevano occupare di almeno dieci bambini ciascuna.
Questi bambini dal punto di vista fisico, dell’igiene e del cibo, ricevevano cure ineccepibili, ma nessuna attenzione materna, cioè venivano trattati come oggetti di cui aver cura. La deprivazione degli stimoli sensoriali, in particolare delle cure materne, portarono i bambini ad attraversare vari stadi di deperimento, passività, sensibilità alle malattie, insonnia, perdita del peso, ritardo motorio, rigidità dell’espressione del viso, scatti di aggressività fisica anche verso se stessi. Sintomi che si riscontrano anche in caso di deprivazione da cibo.
In quest’ottica, sono interessanti anche gli studi svolti nel mondo animale, in particolare le ricerche di Frederick Harlow sui legami affettivi nei primati. In uno di questi esperimenti, Harlow ha costruito due simulacri materni per piccole scimmiette: uno di filo di ferro, sgradevole al contatto ma in grado di fornire latte a richiesta mediate un biberon; l’altro senza biberon, ma coperto di stoffa morbida e spugnosa e pelosa. Le scimmiette, anche se affamate, chi preferivano? Le scimmiette, anche se affamate, hanno mostrato preferenza per la madre morbida, passando con lei tre quarti del tempo, come avrebbero fatto con una madre vera.
Da questi studi accennati brevemente, possiamo evincere che l’essere umano, e gli animali superiori, hanno dei bisogni fondamentali:
- bisogno di stimoli: tattili, gustativi, olfattivi che permettono di rapportarsi con il mondo
- bisogni di «carezze», quindi di essere riconosciuti anche attraverso i «simboli» come:
- Contatto fisico
- Sorriso, sguardo
- Vicinanza
- Cura, gesti concreti…
Dai riconoscimenti che riceviamo da parte degli altri, dipenderà l’immagine che avremo di noi stessi, la rappresentazione di noi stessi nel mondo e in relazione con l’altro.
Riprendendo i lavori di Leonardo Mendolicchio, il rifiuto del cibo diventa un sintomo psichico, o meglio, come indicato da Freud, una formazione sintomatica dove il sintomo è un risultato di vari passaggi dove troviamo come protagonisti il senso di angoscia, che determina la pulsione come elemento somatopsichico da cui non è possibile fuggire: “accanto all’angoscia vi è un altro aspetto umano che Freud non tralascia, l’impotenza, aspetto che rende il corpo biologico anche un corpo relazionale”[3].
Il sintomo alimentare serve a controllare l’angoscia, un’angoscia dettata dalla mancanza dell’Altro, da un’impotenza appresa che parte dal corpo e che si trasforma in comportamento di rifiuto del cibo o abbuffata. Si tratta di un sintomo psicofisico che serve a tenere a bada un’angoscia profonda dettata da una possibile mancanza di carezze, quei riconoscimenti e questi stimoli adeguati che pongono le basi per imparare a nutrirsi e nutrire sin da quando siamo piccoli, poi adolescenti ed adulti.
Ester Varchetta
Psicologa Clinica, iscritta all’OPL con il n°22992
Spec. in Psicodiagnostica clinica e forense (Età evolutiva e Adulti), Counseling Analitico Transazionale, Psicodramma e Metodi Attivi-Espressivi, Clinica Sistemica della Coppia, Mediazione Familiare.
Dott.ssa in Scienze dell’Educazione come Esperta dei Processi Formativi
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] In Analisi Transazionale, le carezze, o stroke (colpo) sono i riconoscimenti reciproci che gli uomini e le donne si danno e che determinano la qualità della vita. Carezza nel linguaggio comune ha significato di contatto sia fisico diretto (una mano che tocca il corpo di un altro o proprio), sia metaforico (qualcosa ci fa stare bene) e verbale/non verbale (un complimento, uno sguardo)
[2] Giacomo Magrograssi, Le carezze come nutrimento, Baldini Castoldi Dalai editore
[3] Leonardo Mendolicchio, Bisogna pur mangiare, LiNDAU